Infragilimento causato dall’idrogeno nell’acciaio

Infragilimento causato dall’idrogeno nell’acciaio

Il chip del sensore dei trasmettitori di pressione piezoresistivi è solitamente circondato da una membrana in acciaio. Nella maggior parte delle applicazioni l’acciaio inossidabile è utilizzato anche per realizzare il corpo degli strumenti di misura. Se, però, il materiale entra in contatto con l’idrogeno, può indebolirsi e rompersi.

Cosa s’intende per infragilimento? 

L’infragilimento da idrogeno indica una perdita di duttilità del metallo. La duttilità descrive la proprietà dei materiali di deformarsi plasticamente sotto carico prima di rompersi. L’acciaio, a seconda del tipo, può deformarsi di oltre il 25 percento. I materiali che non hanno questa capacità sono detti fragili. 

Anche i materiali duttili possono diventare fragili, cioè indebolirsi. Se l’infragilimento del materiale è causato dall’assorbimento di idrogeno si parla di infragilimento da idrogeno. 

L’infragilimento da idrogeno si verifica quando l’idrogeno atomico si diffonde nel materiale. Prerequisito dell’infragilimento da idrogeno è generalmente la corrosione da idrogeno. 

La corrosione da idrogeno, detta anche corrosione acida, ha luogo ogni volta che si verifica una carenza di ossigeno e il metallo entra in contatto con l’acqua. Il prodotto finale dell’ossidoriduzione è l’idrogeno puro che ossida il metallo. Il metallo va in soluzione sottoforma di ioni, provocando un degrado uniforme del metallo. 

Grazie alle dimensioni ridotte dell’atomo di soli circa 0,1 nanometri, l’idrogeno sprigionatosi attraverso l’ossidoriduzione si diffonde nell’acciaio. L’idrogeno va ad occupare direttamente il reticolo metallico del materiale sottoforma di atomi interstiziali. Difetti reticolari aumentano la capacità di assorbimento. Si arriva così a una fatica chimica dei materiali, che, già a bassi carichi, può causare rotture improvvise dall’interno verso l’esterno. 

L’idrogeno e i trasmettitori di pressione 

In virtù delle dimensioni molto ridotte, l’idrogeno non solo riesce a penetrare nel materiale, ma può pervaderlo completamente. Questo significa che non può verificarsi soltanto un infragilimento del materiale. Le membrane di metallo dei sensori di pressione piezoresistivi sono molto sottili : infatti, più sottili sono e più il sensore è sensibile e preciso. L’idrogeno diffuso nella/attraverso la membrana (permeazione) può reagire con il fluido di trasferimento di pressione che circonda il chip del sensore. Di conseguenza, per via dell’assorbimento dell’idrogeno, si modificano le proprietà tecniche di misurazione del ponte di misura. Allo stesso tempo, per via di questi assorbimenti, può verificarsi anche un aumento della pressione, che provoca una curvatura della membrana del sensore fino alla sua completa rottura. 

Al di là di una membrana più spessa, quindi di conseguenza piuttosto imprecisa, questo processo può essere fortemente ritardato utilizzando una lega d’oro. In tal modo, la durata di vita del dispositivo sarà ottimizzata. Qui potete leggere maggiori informazioni.

Portare pressione all’albero in un motore senza camme

Portare pressione all’albero in un motore senza camme

Sulla scia delle drastiche regolamentazioni per ridurre le emissioni di gas esausto e migliorare l’economia basata sui combustibili, le aziende manifatturiere stanno spendendo molto tempo per migliorare il processo di combustione : hanno provato ad aprire prima le valvole d’immissione (denominato ciclo Miller), hanno provato a chiuderle dopo (comunemente denominato ciclo Atkinson) e hanno anche provato a creare un motore ibrido candele/compressione (accensione con carica di compressione omogenea) – tutti tentativi che hanno avuto poco successo.

Il problema è che queste variazioni al motore a ciclo Otto sono effettive solo sotto specifiche condizioni, il che significa che per mantenere le prestazioni di un motore sotto un ampio spettro operativo la fasatura variabile delle valvole è essenziale – non solo la durata deve essere variabile su richiesta, ma deve essere quasi infinitamente variabile: una sfida difficile per i motori a combustione interna con distribuzione meccanica!

Dato che un albero a camme ha un solo lobo per valvola, la durata di apertura e l’alzata delle valvole sono fisse. E mentre molti motori moderni usano la fasatura di distribuzione, la regolazione dell’alzata e della durata delle valvole durante il funzionamento ha avuto un successo limitato. 

Alcune aziende manifatturiere usano sistemi con più lobi sull’albero a camme, ma questo è ancora un compromesso visto che solo pochi profili possono operare contemporaneamente. 

Sostituzione dell’albero a camme con attuatori pneumatici-idraulici-elettrici 

Non è il caso per i motori con albero a camme, che utilizzano attuatori pneumatici-idraulici-elettrici, sostituire l’albero a camme tradizionale per controllare l’operatività delle valvole in un motore a combustione interna. Questo porta ad un controllo molto più preciso e completamente personalizzabile della durata e dell’alzata delle valvole, sia nella parte di aspirazione che di scarico: l’alzata e la durata delle valvole possono essere regolate liberatamene da valvola a valvola e da ciclo a ciclo. Sono possibili anche multipli eventi di portata per ciclo o,addirittura, nessun evento per ciclo – disabilitando completamente il cilindro. 

Ma mentre questo sistema offre un controllo completo sulle funzioni di aspirazione e di scarico, offrendo anche più compattezza e riduzione di massa (su un motore a 4 cilindri in linea – 20 kg in massa, 50mm in altezza e 70mm in lunghezza), è cruciale un controllo preciso sulla pressione pneumatica e su quella idraulica per avere un sistema efficace. 

La mappatura della pressione durante lo sviluppo 

Affinché si possa effettuare la mappatura delle pressioni operative richieste dalle valvole a diverse velocità del motore e a diversi carichi, è di vitale importanza che le pressioni siano misurate accuratamente in tempo reale. 

Questa è di per sé un’impresa non da poco: non solo i sensori di pressione usati devono essere accurati su un largo intervallo di temperature operative, ma devono essere compatti, resistenti alle vibrazioni ed essere in grado di resistere alle esposizioni di oli i caldi e altre sostanze chimiche presenti tipicamente in un motore. 

Con solo una manciata di fornitori nel mondo capaci di fornire trasmettitori di pressione di grado di laboratorio di alta qualità, è importante che ogni squadra di sviluppo mappi i sensori scelti per una distribuzione meccanica senza albero a camme con una traccia collaudata. 

Con questa tecnologia è importante che la pressione pneumatica, utilizzata per attuare l’apertura e la chiusura delle valvole, e la pressione idraulica, che si comporta come uno smorzatore e permette di tenere la valvola aperta, siano accuratamente mappate durante lo sviluppo. 

Queste pressione mappate saranno controllate grazie a un’unità di controllo elettronico che determinerà l’alzata, l’accelerazione e la durata in base al carico sul motore, alla velocità e alle condizioni ambientali. 

Se la squadra di sviluppo ottiene la mappatura di questo complesso processo nella maniera appropriata, la ricompensa è impressionante: è possibile estrarre oltre 170 kW e 320Nm di coppia da un motore a quattro cilindri da 1,6 litri,che equivale al 47 percento di potenza maggiore e al 45 percento di coppia in più rispetto a un motore equipaggiato da un albero a camme, migliorando,inoltre, del 15% il chilometraggio. 

In conclusione, mentre l’albero a camme è stato nel cuore dei motori a quattro tempi per oltre un secolo, in un prossimo futuro le valvole a pressione idro-pneumatica possono alimentare la corsa dello sviluppo di migliori motori a combustione interna.

Evitare il surriscaldamento delle batterie al litio grazie alla misura della pressione

Evitare il surriscaldamento delle batterie al litio grazie alla misura della pressione

Tutti noi abbiamo visto video di portatili che prendono inspiegabilmente fuoco o abbiamo letto della Chevy Volt scoppiata in fiamme settimane dopo aver completato un crash test. Questi fenomeni che avvengono con le batterie agli ioni di litio – noti come “runaway termici” – non sono solo impressionanti, ma anche estremamente pericolosi.

Di solito un runaway termico è causato da una corrente eccessiva o da una temperatura ambientale elevata e si sviluppa in diverse fasi: 

  • A partire da una temperatura di 80°C, lo strato SEI (dall’inglese Solid-Electrolyte Interphase) inizia a rompersi; successivamente l’elettrolita reagisce con l’anodo. Questa reazione è esotermica e fa aumentare velocemente la temperatura.
  • In secondo luogo, la temperatura elevata provoca la rottura dei solventi organici con conseguente rilascio di gas; normalmente questo inizia a verificarsi a circa 110°C. Durante questa fase la pressione all’interno delle celle si accumula e la temperatura aumenta fino a superare il punto di esplosione. Nonostante ciò, il gas non prende fuoco per mancanza di ossigeno.
  • Infine, a 135°C il separatore si scoglie e causa un corto circuito tra l’anodo e il catodo, portando alla rottura del catodo di ossido di metallo a 200 °C e rilasciando ossigeno. Questo permette all’elettrolita e al gas idrogeno di bruciare. Anche questa reazione è esotermica e fa aumentare ulteriormente la temperatura e la pressione in modo rapido. 

Batterie raffreddate a liquido: la risposta ai runaway termici 

Al fine di regolare la temperatura delle celle nelle batterie al litio ad alta energia dei veicoli elettrici, i produttori utilizzano dei sofisticati sistemi di gestione termica delle batterie, spesso dotati di dissipatori di calore raffreddati a liquido, per controllare sia le temperature alte che basse. 

Tuttavia, per poter implementare un design efficiente di dissipatore di calore raffreddato a liquido per la batteria di un veicolo elettrico o ibrido, è importante determinare la temperatura della batteria e il profilo del flusso termico mediante i test e la registrazione dei valori in vari punti. Questo viene fatto utilizzando le termocoppie durante i cicli di carica e scarica della batteria. 

Una volta che questi dati sono stati raccolti e analizzati, vengono estrapolate le linee di tendenza per adattarsi ai dati del flusso termico e queste vengono poi usate per creare le equazioni per il profilo del flusso termico durante le fasi di caricamento e scaricamento. 

Appena questo profilo viene registrato,viene creato un modello con mezzo dissipatore mediante un software di modellazione come il PTC Creo Parametric 3D. In questo modo, i percorsi proposti dei canali del flusso del fluido possono essere disposti per creare le sezioni trasversali dei canali di raffreddamento desiderati lungo i percorsi critici. 

Il trasferimento efficace del calore, però, richiede un equilibrio preciso tra la velocità, la pressione e la temperatura del fluido che scorre attraverso i canali del dissipatore. Pertanto, è essenziale ottimizzare le pressioni di ingresso e di uscita per controllare la portata del liquido di raffreddamento all’interno del dissipatore di calore. 

Misurare le pressioni in modo accurato ottimizza il trasferimento di calore

Considerando ottimale una differenza di pressione di circa 0.008273709 bar, i sensori di pressione utilizzati per misurare le pressioni del fluido attraverso il dissipatore di calore, devono essere estremamente accurati e stabili per un ampio intervallo di temperature e pressioni. 

Nel mondo esistono solo una manciata di produttori di sensori di pressione che producono strumenti in grado di eseguire questo compito in modo affidabile. Per fornire sensori di pressione alle squadre di sviluppo di tutto il mondo, i produttori vengono scelti in base all’accuratezza e consistenza nelle prestazioni dei loro sensori. 

I risultati dei test registrati da questi sensori di qualità sono utilizzati per tracciare le pressioni massime e minime a diverse portate volumetriche del fluido e grazie a ciò è possibile confrontare vari modelli di canali di flusso. 

Come definito nell’equazione di Bernoulli, secondo cui la velocità al quadrato varia inversamente alla pressione, la perdita di pressione aumenta di quattro volte all’aumentare della portata volumetrica del fluido. 

Per questo motivo, gli ingegneri optano per canali più ampi che permettono una portata maggiore del fluido e più passaggi nella batteria, ottimizzando così il trasferimento di calore dalle celle al dissipatore. 

Insomma, grazie soprattutto alle misurazioni accurate della pressione durante la fase di sviluppo, il calore dissipato mediante convenzione forzata ha migliorato notevolmente la sicurezza, l’affidabilità e capacità di ciclo delle batterie al litio.

Scegliere l’elettrico aumenta la pressione

Scegliere l’elettrico aumenta la pressione

Mentre lentamente si avanza verso un mondo a “emissioni zero”, gli ingegneri del settore dei trasporti sono sotto pressione nel trovare idee creative per mantenere alta la fiducia degli automobilisti nei confronti delle tecnologie in evoluzione.

Prendiamo ad esempio il sistema frenante idraulico: l’attuale sistema idraulico è un puro capolavoro di ingegneria. Ogni volta che chi guida preme il pedale del freno dà per scontato cose che hanno richiesto decenni di sviluppo e perfezionamento. Se il sistema che fa frenare il veicolo è di per sé una complessa prodezza di ingegneria, l’input del conducente sul pedale servoassistito non è da meno. 

Se esaminiamo la forza che il conducente esercita sul pedale e la confrontiamo con il rallentamento del veicolo, vediamo che questa relazione non è lineare. Grazie all’assistenza del servofreno la prima parte della curva è più ripida, in modo che il conducente abbia una diretta correlazione tra la forza sul pedale e la frenata. Ad un certo punto, però, il cosiddetto “knee-point”, l’assistenza si riduce, riducendo così l’efficienza di frenata, per impedire che il conducente blocchi inavvertitamente le ruote. 

Sebbene i produttori di freni siano diventati esperti nell’ottimizzare questi sistemi, la linea di demarcazione tra un ottimo sistema frenante e uno che, in condizioni estreme, può diventare pericoloso è molto sottile. Un automobilista esperto lo nota spesso durante una frenata di emergenza: inizialmente il veicolo rallenta come previsto per poi “esaurire i freni” un attimo prima dell’incidente. Di solito questo comportamento viene attribuito ad una forte diminuzione della servo assistenza che porta il conducente ad esercitare una pressione eccessiva e non prevista in una fase critica dell’operazione. 

Se è vero che questo rappresenta il peggiore dei casi, è altrettanto vero che anche in condizioni normali di guida un sistema frenante al limite della linea di demarcazione può produrre un’esperienza di guida insoddisfacente. Solitamente gli utenti lamentano una mancanza di risposta, fenomeno conosciuto nel campo come “pedale di legno”,ovvero quando manca corrispondenza tra la forza applicata sul pedale e la frenata prevista. In questi casi il conducente si sente scollegato dal veicolo. 

Nonostante ciò, dopo aver raffinato il sistema per decenni, l’industria si trova ora costretta a riconsiderare tutto quello che ha imparato: i veicoli elettrici stanno ridefinendo i sistemi di controllo.

Sistema brake by wire di una macchina da corsa della Formula Uno
Fonte dell’immagine: https://www.formula1-dictionary.net

La rivoluzione del sistema frenante per i veicoli elettrici 

Mentre l’elettrificazione prende piede e i motori a combustione interna tradizionali vengono progressivamente eliminati, i componenti meccanici come il servofreno a depressione non hanno più una fonte di alimentazione pronta. Questo significa che bisogna progettare pompe e motori azionati elettronicamente per far funzionare i sistemi di controllo. 

Inoltre, per integrare i sistemi di guida automatica, i controlli stanno rapidamente passando all’architettura elettrica/elettronica (E/E), controlli spesso chiamati genericamente “x-by-wire”. 

Tuttavia, affinché un sistema brake by wire funzioni in modo sicuro ed efficace, è necessario conservare così com’è l’integrità dell’interfaccia uomo-macchina (IUM). E per farlo gli ingegneri hanno bisogno di mappare due tipi di forze (in questo caso misurate in forza/area o pressione): la forza applicata sul pedale dal conducente e la pressione che ne deriva sui pistoni della pinza/cilindri delle ruote nel sistema idro-meccanico “tradizionale”. 

 

Solo i sensori di pressione di alta qualità vanno bene 

L’attendibilità di questi dati è fondamentale per lo sviluppo efficace del sistema E/E, per cui solo i sensori di pressione di alta qualità, capaci di fornire misurazioni accurate e ripetibili, possono essere usati. 

Questi sensori non solo devono essere in grado di raccogliere dati estremamente accurati, ma devono anche farlo in un ambiente in cui le sostanze chimiche aggressive, il calore, le vibrazioni e gli spazi limitati non sempre favoriscono l’uso di attrezzature di misurazione che sono state calibrate con cura. 

Per questo motivo, i team di sviluppo si affidano ad una manciata di fornitori di sensori di pressione di qualità che forniscono loro dispositivi di misurazione su cui poter contare. 

Tutto ruoto attorno alla sensazione di frenata 

Armati di pressioni di ingresso e di uscita, gli ingegneri devono ora provare a replicare non tanto le prestazioni di arresto completo, ma piuttosto la sensazione che dà un sistema tradizionale. Utilizzando i sensori di velocità delle ruote è relativamente facile massimizzare il rallentamento del veicolo, ma non è altrettanto facile replicare la sensazione che prova il conducente quando effettua un controllo leggero dei freni a basse velocità. 

Questo è il caso in cui i dati in condizioni reali valgono oro: il rapporto tra la forza esercitata sul pedale e la pressione del sistema deve essere replicato da una centralina elettrica che gestisce la misura in cui i freni vengono azionati. Di per sé si tratta di un compito mastodontico, poiché gli automobilisti azionano i freni in misura diversa in base alle condizioni stradali e del traffico e alle preferenze personali. Un automobilista che va di fretta, ad esempio, aspetta a frenare all’ultimo momento e deve quindi farlo in modo brusco, mentre le persone anziane tendono ad avere un comportamento di frenata molto più rilassato. 

Il grado di difficoltà nel raccogliere questi feedback degli automobilisti può essere misurato dalle prestazioni del sistema installato sulle macchine da corsa della Formula Uno: dopo tre anni ci sono ancora dei team che non sono in grado di fornire ai loro piloti un sistema brake by wire che dia loro sensazioni sufficienti per compiere manovre di frenata pesanti. 

Insomma, mentre sembra che ai sistemi brake by wire serva ancora qualche anno prima di poter essere prodotti in serie su veicoli di massa a basso costo, grazie all’aiuto dei sensori di pressione, gli specialisti dei sistemi frenanti sono già in grado di quantificare in modo accurato quello che serve di preciso.

L’elettrificazione a 48 Volt mette pressione al sistema di raffreddamento del motore

L’elettrificazione a 48 Volt mette pressione al sistema di raffreddamento del motore

Sullo sfondo dell’accordo di Parigi del 2015 che prevede una riduzione dell’80% dei gas serra entro il 2050, l’industria automobilistica sta lavorando intensamente verso l’obiettivo “veicoli a emissioni zero”. Tuttavia, dopo più di un secolo di utilizzo, il motore a combustione interna non sparirà da un giorno all’altro e questo non lascia all’industria altra scelta se non quella di esplorare nuove tecnologie per ridurre le emissioni dei motori a combustione interna.

Se l’elettrificazione totale è l’obiettivo finale, al momento la tecnologia è proibitiva dal punto di visto dei costi, mancando le infrastrutture per sostenerne il lancio di massa. L’ibridazione, invece, in particolare il veicolo elettrico mild hybrid a 48 volt, offre una soluzione economicamente vantaggiosa e facile da implementare. 

Anche se l’implementazione tecnica di un’alimentazione a 48 V è relativamente semplice, richiede l’installazione di una batteria agli ioni di litio progettata per supportare l’avvio e il riavvio del motore a combustione interna, il recupero dell’energia frenante e l’assistenza di coppia durante l’accelerazione. Sebbene si tratti di una fonte di energia elettrica molto efficiente, presenta diversi svantaggi, tra cui il surriscaldamento che può portare al “runaway termico” e causare persino l’accensione spontanea delle celle della batteria. 

Di solito un runaway termico è causato da una corrente eccessiva o da una temperatura ambientale elevata e si sviluppa attraverso diverse fasi: 

  • A partire da una temperatura di 80 °C, lo strato SEI (dall’inglese Solid-Electrolyte Interphase) inizia a rompersi; successivamente l’elettrolita reagisce con l’anodo. Il calore generato da questa reazione causa la rottura dei solventi organici con conseguente rilascio di gas, facendo aumentare la pressione all’interno delle celle.
  • Nonostante ciò, il gas non prende fuoco per mancanza di ossigeno. Se, però, la temperatura continua ad aumentare superando i 135 °C, il separatore si scoglie e causa un corto circuito tra l’anodo e il catodo, portando alla rottura del catodo di ossido di metallo a 200 °C e rilasciando ossigeno. Questo permette all’elettrolita e al gas idrogeno di bruciare.

Si tratta di una caratteristica delle batterie al litio che – come nel caso dei veicoli completamente elettrici – richiede una gestione ottimale della batteria e un sistema di raffreddamento al fine di garantire un funzionamento sicuro ed efficiente

Immagine 1: sistema di raffreddamento della batteria Porsche (fonte: Charged EVs)

Determinare i requisiti di raffreddamento della batteria agli ioni di litio da 48 V 

Per regolare la temperatura delle celle nelle batterie agli ioni di litio ad alta potenza da 48 V(superiori a circa 1000 WH), i produttori hanno sviluppato dei sofisticati sistemi di gestione termica della batteria che spesso utilizzano dissipatori di calore raffreddati a liquido per garantire la stabilità termica. 

Prima di implementare un dissipatore raffreddato a liquido, però, è importante determinare e registrare la temperatura della batteria e il profilo del flusso di calore in vari punti del sistema. Questo viene fatto utilizzando le termocoppie durante i cicli di carica e scarica della batteria. 

Una volta che questi dati sono stati raccolti e analizzati, vengono estrapolate le linee di tendenza per adattarsi ai dati del flusso termico e queste vengono poi usate per creare le equazioni per il profilo del flusso termico durante le fasi di caricamento e scaricamento. 

Appena questo profilo viene registrato, viene creato un modello con mezzo dissipatore mediante un software di modellazione come il PTC Creo Parametric 3D. In questo modo, i percorsi proposti dei canali del flusso del fluido possono essere disposti per creare le sezioni trasversali dei canali di raffreddamento desiderate lungo i percorsi critici. 

Il trasferimento efficace del calore richiede un equilibrio preciso tra la portata, la pressione e la temperatura del fluido che scorre attraverso i canali del dissipatore. Pertanto, è essenziale ottimizzare le pressioni di ingresso e di uscita per controllare la portata del liquido di raffreddamento all’interno del dissipatore di calore. 

La misura della pressione è la chiave del bilanciamento termico 

Considerando ottimale una differenza di pressione di circa 0.008273709 bar, i sensori di pressione utilizzati per misurare le pressioni del fluido attraverso il dissipatore di calore devono essere estremamente accurati e stabili per un ampio intervallo di temperature e pressioni. 

Durante questa fase cruciale di sviluppo i produttori si affidano a trasmettitori di pressione di alta qualità reperibili solo presso un ristretto gruppo di produttori per via delle loro prestazioni in termini di accuratezza e consistenza. 

Concentrate sul dissipatore, le misurazioni registrate durante questi test sono utilizzate per tracciare le pressioni massime e minime a diverse portate volumetriche del fluido all’interno del dissipatore, permettendo di confrontare vari modelli di canali di flusso. 

Come definito nell’equazione di Bernoulli, secondo cui la velocità al quadrato varia inversamente alla pressione, la perdita di pressione aumenta quadraticamente al l’aumentare della portata volumetrica del fluido. 

Per questo motivo, gli ingegneri optano per canali più ampi che permettono una portata maggiore del fluido e più passaggi nella batteria, ottimizzando così il trasferimento di calore dalle celle al dissipatore. 

Fino a questo punto lo sviluppo è simile a quello normalmente eseguito durante i test sulle batterie EV dei veicoli elettrici, ma nel caso del veicolo elettrico mild hybrid a 48 volt, il raffreddamento della batteria è solitamente integrato nel sistema di raffreddamento del motore a combustione interna per ridurre i costi e la complessità, e questo aumenta il carico termico sul sistema di raffreddamento del motore a combustione interna. Pertanto, una volta ottimizzato il raffreddamento della batteria, gli ingegneri devono integrare il dissipatore di calore all’interno del sistema di raffreddamento del motore a combustione interna. 

Durante questa fase di sviluppo del design, il team di sviluppatori non solo controlla qualsiasi cambiamento nel differenziale di pressione nel dissipatore, ma misura anche la diminuzione di pressione nell’intero sistema di raffreddamento per essere sicuri che il raffreddamento del motore non venga influenzato negativamente dall’inserimento del raffreddamento della batteria. 

Ancora una volta, mentre gli ingegneri cercano le differenze incrementali nelle letture della pressione, è importante che i sensori di pressione utilizzati per registrare questi valori siano stabili e in grado di fornire risultati ripetibili. 

Insomma, sebbene il sistema di raffreddamento a liquido nelle batterie da 48 V integrato nei motori a combustione interna aumenti il carico termico, il progetto e lo sviluppo ben concepiti, soprattutto per quanto riguarda le pressioni di sistema, migliorano notevolmente la sicurezza, l’affidabilità e la capacità di ciclo delle batterie al litio senza influire sul raffreddamento del motore.

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